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lunedì 12 aprile 2010

Un giorno di "ordinaria" follia.

Quanto può essere difficile trovare un ambulatorio per i vaccini? Non è una domanda da sottovalutare, potreste incappare in una mattinata uguale alla mia.
Ore 7:45, il cellulare squilla svegliandomi, sul lavoro hanno bisogno di qualcuno che compili una fattura per l'estero e, naturalmente, io sono l'unico in grado di farlo. Una volta risolta l'incombenza mi faccio una bella doccia così sono pronto e vispo per farmi vaccinare.
Alle ore 9:00 giungo all'ospedale dove chiedo informazioni, mi rispondono che l'ambulatorio si trova in Via Mazzini. Giungo alla fatidica via, ma i lavori di ristrutturazione procedono imperterriti e non si vede lo straccio di un ambulatorio. "Fortuna" vuole che lì vicino ci sia la Croce Verde, così decido di chiedere loro informazioni.
"Ah ma l'ambulatorio si è spostato già da un anno. Sa dov'è il distributore dell'AGIP?"
"Sì."
"Bene, la palazzina di fronte."
Torno alla macchina e mi reco alla palazzina suddetta ma, sorpresa, ci trovo solo gli invalidi civili. Provo la palazzina a fianco, niente, c'è il laboratorio dell'ARPA. Così provo a chiedere informazioni a loro.
"Ah ma l'ambulatorio non è più lì, ora ci sono gli invalidi civili, deve andare in Via Mazzini"
La guardo stralunato: "Ma in via Mazzini stanno lavorando e non ci sono ambulatori"
"Ah ma allora non saprei".
Dal torpore del mio sconforto sento una voce in sottofondo: "L'ambulatorio è in via Mazzini, ma l'entrata si trova sul retro, si entra dalla piazzetta di fronte al duomo adibita a parcheggio."
Ritorno nella zona menzionata, parcheggio, mi levo la maglia perché fa un caldo boia e mi dirigo con passo svelto verso la palazzina. Sono le 10:15, bene tanto l'orario previsto recita 8:30 - 10:30, ce la posso fare.
Raggiungo la palazzina, entro nella porta con la targa grande VACCINAZIONI, "ci siamo".
Salgo al primo piano, niente.
Salgo al secondo, niente.
Provo a chiedere in un ufficio. "No l'ambulatorio non è qui. Devi scendere al piano terra, uscire dalla palazzina, andare a destra, entrare nel sotto portico, salire la rampa e sei arrivato."
Cominciano a girarmi...
Sono le 10:20 CE LA POSSO ANCORA FARE...
Scendo le scale, esco dalla palazzina vado a destra, entro nel sotto portico, salgo la rampa.... CHIUSO, hanno cambiato orario, fino all 10... AHHHHHHHHH
Almeno ho recuperato il passaporto........

sabato 20 giugno 2009

Una buona azione non costa niente



Colby Curtin era una bambina deliziosa, purtroppo malata da 3 anni di una grave forma di cancro al fegato, lei di che di anni ne aveva solo 10. Appassionatissima di film della Pixar, aveva espresso il desiderio di vedere “Up“, l’ultima uscita (per ora, solo negli USA) della casa di produzione specializzata in computer generated imagery.

Purtroppo, per via delle sue delicatissime condizioni di salute, non le era possibile spostarsi, neanche verso il cinema più vicino. Così, i suoi hanno telefonato alla Pixar e, dopo pochi giorni, ecco un dvd in anteprima per la piccola Colby, che ha potuto guardare in versione integrale il film che racconta le avventure di un vecchio signore, di un bambino e della loro casa che vola nel cielo grazie a una moltitudine di palloncini ad essa legati.

Dopo solo 7 ore dalla visione di Up, la piccola Colby, confortata anche dal suo desiderio realizzato, ha chiuso gli occhi per sempre.

FONTE: www.cineblog.it

giovedì 7 maggio 2009

Insieme per la speranza


Stefania è una bambina di dieci anni affetta da encefalopatia epilettogena, una grave malattia causata da un alterazione della massa bianca del cervello che le comporta un sensibile ritardo psicomotorio. Stefania non cammina, non parla e si nutre solo con il biberon.
Sin dall'età di due mesi ha iniziato a manifestare delle crisi epilettiche che con gli anni sono diventate sempre più forti e frequenti (in media da una a tre al giorno).
Dopo numerose cure che non hanno portato a nessun risultato, all'età di sei anni all'Ospedale di San Polo a Milano si è giunti finalmente alla diagnosi definitiva che non lasciava nessuna speranza di cura.
I genitori, Andrea e Ester, non hanno mai smesso di sperare di trovare una cura per la loro bambina, finché attraverso la rete internet sono venuti a conoscenza di una nuova terapia che viene seguita solo in America presso la clinica Ocean Hyperbaric Neurologic Center.
La terapia in camera iperbarica ha permesso notevoli miglioramenti a bambini affetti da questa patologia.Quasi tutti i piccoli pazienti hanno avuto una significativa diminuzione, se non addirittura, la scomparsa delle crisi epilettiche. Hanno inoltre cominciato ad alimentarsi da soli e a muovere i loro primi passi. Qualcuno è riuscito a camminare in maniera autonoma.
Al trattamento d'ossigeno in camera iperbarica vengono affiancate ore di intense sedute di logopedia, massaggi e fisioterapia d'avanguardia (Therasuit). Stefania nel dicembre 2008 si è recata alla clinica di Fort Lauderdale e dopo un'accurata visita, i medici le hanno prospettato buone possibilità di miglioramento. Purtroppo il costo di questa terapia si aggira intorno ai 20.000 euro al mese che per un periodo di due anni necessario ad un ottimale riuscita del trattamento, comporta un preventivo superiore ai 400.000 euro.
E' davvero l'ultima speranza che rimane per dare una vita migliore a Stefania. Per questo motivo l'associazione INSIEME PER LA SPERANZA ONLUS attraverso questo sito ed attraverso altre iniziative ha incominciato la raccolta di fondi per dare a Stefania un futuro migliore.

DONAZIONI

CASSA DI RISPARMIO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

INSIEME PER LA SPERANZA ONLUS

CAUSALE: AIUTIAMO STEFANIA

CODICE IBAN : IT08 Y063 4012 4121 0000 0002 331



INSIEME PER LA SPERANZA è una ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale). Ai sensi del D.L. 35/2005, sono previste, pertanto, in caso di erogazioni liberali, le seguenti agevolazioni fiscali:

Persone fisiche:
In caso di erogazione in denaro o in natura spetta, alternativamente, una delle seguenti agevolazioni:

a) deducibilità dal reddito nel limite massimo del 10% del reddito complessivo dichiarato, fino all’importo massimo di € 70.000.

b) solo per erogazioni in denaro, detrazione dall’IRPEF del 19% calcolata su un importo massimo di € 2.065,83.

Imprese:
In caso di erogazione in denaro e in natura spetta, alternativamente, una delle seguenti agevolazioni:

a) deducibilità dal reddito nel limite massimo del 10% del reddito complessivo dichiarato, e comunque nella misura massima di € 70.000.

b) deducibilità dal reddito di impresa dichiarato, ma solo per le erogazioni in denaro, nella misura massima di € 2.065,83 ovvero del 2% del predetto reddito d’impresa.


Viene consentita la detrazione solo nel caso in cui l’erogazione o il contributo sia stato effettuato tramite la banca, l’ufficio postale, carte di debito, carte di credito, carte pre-pagate, assegni bancari e circolari. E’ obbligatorio, pertanto, conservare la contabile ed allegarla alla successiva dichiarazione dei redditi.

2. IL 5 x 1000
Dal 2006 con la dichiarazione dei redditi le persone fisiche possono devolvere il 5 per mille dell’Irpef a sostegno delle associazioni e degli enti no profit e di ricerca scientifica che stanno maggiormente a cuore.
Il 5 per mille non sostituisce l’8 per mille e non costituisce nessun costo aggiuntivo per il contribuente: si tratta di una quota di imposta a cui lo Stato rinuncia per destinarla agli enti accreditati a sostegno della loro opera sociale, culturale, e di ricerca scientifica.

1. Firmare nel riquadro dedicato alle Organizzazioni Non Lucrative (Onlus)

2. Indicare il codice fiscale di INSIEME PER LA SPERANZA – ONLUS 91032010315

martedì 17 febbraio 2009

Palestina: Capire il torto 7^ Parte

E siamo così giunti all'ultima parte del percorso storico sul conflitto israelo-palestinese. Pensando di aver fatto cosa gradita cercherò di far confluire i vari video in uno unico per facilitarne la visione e comprensione.

lunedì 9 febbraio 2009

Palestina: Capire il torto 2^ parte

Seconda parte del percorso tracciato dal giornalista Paolo Barnard, all'interno della storia palestinese.

mercoledì 4 febbraio 2009

Palestina: Capire il torto 1^ parte

Comincio con oggi, a pubblicare dei video dedicati alla questione palestinese. Paolo Barnard è un noto giornalista indipendente che ha lavorato per molti anni con la redazione di Report. In un post precedente ho parlato del suo libro "Perché ci odiano" contenente documenti e testimonianze che ci fanno capire quanto siamo lontani dalla realtà rispetto alle questioni Medio-Orientali e sulla Palestina.
Il resoconto storico è diviso in 7 parti e verrà pubblicato lungo l'arco di tutto il mese.

venerdì 14 novembre 2008

Ciao Eluana!



"Se non posso essere quello che sono adesso, preferisco morire"

E' il 18 gennaio 1992. E' un sabato sera e sono le 22:30. Eluana ha appena finito di parlare al telefono con i suoi genitori che trascorrono l'annuale settimana bianca a Sesto in provincia di Bolzano. E' stanca ed ha già indossato il pigiama, chiude le tapparelle ed è pronta per andare a letto. Questa sera non ha voglia di uscire. Il destino squilla, lei risponde, sono gli amici. Si trovano al Kalcherin dove c'è una festa a cui lei non può mancare, lei è l'anima del gruppo. All'inizio cincischia è scettica, loro insistono, picconano il muro del diniego fino ad abbatterlo. Eluana si toglie il pigiama e, a bordo della BMW del padre, raggiunge gli amici a Garlate.
E' una serata particolarmente fredda, tant'è che l'asfalto si gela, diventa poco sicuro. Nonostante l'insistenza dell'amico Andrea per accompagnarla, decide di rientrare da sola con la propria auto.
Sono le 3:30 di notte e il fato entra in gioco, d'accordo con la morte le preparano lo sgambetto fatale. E' un attimo, l'auto slitta, entra in testacoda e si schianta sul muro fino a finire la sua corsa contro un palo. Poi silenzio. Lo stridere dei freni della macchina di Andrea si insinuano col vento. L'amico chiama subito i soccorsi. La fredda notte viene squarciata dalle calde luci e dal suono dell'ambulanza lanciata nell'abbraccio fatali delle ali di sorella morte.
Eluana arriva in ospedale, è grave, coma, riflessi assenti, arti immobili come il palo su cui si è schiantata. La rianimazione dischiude le ali mortuarie, la vita è salva ma lei è per sempre paralizzata.
Sono le 9:30 Beppino Englaro è chiamato a rispondere al telefono. E' il fratello Armando, Eluana è grave, bisogna partire.
Raggiunge Saturna in camera, la guarda e questo le basta per capire, non serve dare fiato alla gola, una madre sa. E' l'inizio del dolore, del calvario.
E' passato un mese dal primo assaggio di inferno. Le speranze si avviliscono, i ricordi si accumulano, ma uno su tutti balza chiaro a Beppino e Saturna la paura della loro figlia di divenire una marionetta priva di coscienza: "Non a me ricordatelo" disse.
Passano le ore, i mesi, gli anni, due di preciso; la fase transitoria di "stato vegetativo" trascorre tra pratiche fisiatriche, atte a combattere l'atrofizzazione degli arti, e osservazioni cliniche ma senza ottenere risultati. E' il gennaio del 1994 e la medicina si arrende, Eluana non sarebbe più tornata rimanendo in uno "Stato Vegetativo Permanente" (SVP).

Ieri dopo 16 anni di lotte, Beppino Englaro ha ottenuto il rispetto della volontà della figlia. Ora Eluana potrà finalmente esprimere il suo senso di libertà nell'Universo come un purosangue che corre nelle praterie sconfinate.
Ora speriamo che cali solo il silenzio, che si abbia finalmente rispetto di una famiglia ce ha sofferto e lottato per 16 anni senza clamori, senza urlare, non come certa politica che si aggrappa a finte prediche per cercare di essere quello che non sono: onesti, morali, rispettori della gente perbene e umile.
Ora speriamo che anche in Vaticano cali il silenzio e non le solite urla dogmatiche.
Ora voglio SILENZIO.
Ciao Eluana e grazie Beppino e Saturna.

Stato Vegetativo Permanente: E' la condizione vegetativa in cui c'è la mancanza di ogni risposta adattativa all'ambiente esterno, l'assenza di ogni sensso di una mente che riceve o proietta informazioni.
Criteri:
1) Nessuna consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante;
2) Incapacità di interagire con gli altri;
3) Nessun segno di comprensione o espressione verbale;
4) Incontinenza urinaria e fetale;
5)Uno stato di intermittente vigilanza compatibile con il ritmo di sonno-veglia;
6) Il parziale mantenimento delle funzioni autonomiche del tronco e dell'ipotalamo, sufficienti a garantire la sopravvivenza in presenza di cure mediche o infermieristiche;
7) Nessuna evidenza di comportamenti sostenuti, riproducibili, finalizzati o volontari in risposta a stimoli uditivi, tattili o dolorosi;
(Definizione tratta dal libro "Eluana la libertà e la vita" edito da Rizzoli)

giovedì 23 ottobre 2008

Un Libro da leggere



"Da decenni. Da quando i sionisti e gli israeliani in Palestina, gli americani e gli inglesi in Medioriente, Indonesia, Africa e America Latina, con l’aggiunta della Russia in Cecenia, si sono resi responsabili di immani massacri, pulizie etniche, attentati, assassini e repressioni. Milioni di innocenti perseguitati, torturati e ammazzati da quelli che oggi guidano la “Guerra al Terrorismo”. Crimini rimasti non solo impuniti, ma spesso spacciati come giusta difesa del “mondo libero” occidentale".

Caro amico/a,
sono Paolo Barnard, l'ex giornalista di Report (RAI3) cui tu scrivesti nel Settembre 2003 in occasione della mia inchiesta "L'Altro Terrorismo", dove accusavo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia di essere i veri grandi terroristi, prove documentali alla mano.

Oggi ho pubblicato un libro sullo stesso tema, dal titolo "Perché ci Odiano", di Paolo Barnard, edito da Rizzoli BUR, collana Futuro Passato. Rispetto al pezzo televisivo esso è molto più documentato e soprattutto contiene una critica a Israele forse senza precedenti nell'editoria italiana importante, poiché Israele viene annoverato fra gli Stati terroristi e accusato da fonti ebraiche autorevoli di aver imposto 54 anni di nazismo in Palestina.

Te lo segnalo per alcuni importanti motivi:

E' il libro oggi più censurato nella saggistica italiana. Nessun media, né televisivo né cartaceo, ha voluto recensirlo, né RAI né Mediaset o La7, o alcuna radio pubblica o privata, neppure Unità o Repubblica (che ha letteralmente tolto una recensione dalle pagine sia del quotidiano che del Venerdì). Sappiamo che la censura è politica e viene dall'alto, e credo che la critica a Israele ne sia alla base.

La documentazione che contiene è talmente inattaccabile, e scioccante, da costituire lo strumento definitivo per demolire la Guerra al Terrorismo di Bush/Blair/Putin/Olmert senza possibilità di smentite.
E' dunque uno strumento essenziale per controbattere efficacemente alle destre, o semplicemente per ogni cittadino che vuole capire la realtà di questa immane crisi internazionale.

Il libro è scritto per poter essere capito da tutti, e contiene una spiegazione fruibile da chiunque di tutto ciò che è essenziale sapere per comprendere le crisi mediorientali e la criminosità della Guerra al Terrorismo.

Israele viene svelato per ciò che è senza mezzi termini o tentennamenti: il più grande Stato terrorista della Storia mediorientale contemporanea, con prove alla mano che smontano pezzo su pezzo la narrativa che oggi permette a Tel Aviv di agire con impunità assoluta di fronte al mondo intero. Le fonti sono solo ebraiche, proprio per essere 'blindate'.

In ultimo, oggi che la Guerra al Terrorismo ci sta portando sull'orlo di una deflagrazione senza precedenti, ritengo vitale che sia divulgato al pubblico il senso ultimo del libro, che è: quasi tutto ciò che sappiamo sul Terrorismo islamico è falso, e ci può uccidere.
Smettiamo di crederci. Se non ci racconteranno la verità sulle radici dell'odio contro di noi, quell'odio non si fermerà mai, perché mai sapremo affrontarlo. Vi offro gli strumenti per capire l'odio, per affrontarlo e per fermarlo. Ne va della
nostra vita, come di quella di tanti cittadini del mondo.

Mi affido direttamente a te affinché tu ne prenda visione e, se lo condividi, lo divulghi, perché non mi è concessa altra voce. Vengo zittito dalle censure poiché né la verità, né la libertà di pensiero sono tollerate.
Mai.
Grazie.
Paolo Barnard

Paolo Barnard, Perché ci odiano
Edizioni Bur
352 pagine
9.60

lunedì 20 ottobre 2008

Indifferenza paesana


Si dice che le parole facciano male, ma forse l'indifferenza è anche peggio. Quello di oggi è un post un po depressivo andante e me ne scuso anche perché, essendo lunedì, non è certo il modo migliore per iniziare la settimana. Dall'anno scorso ho lasciato il mondo del calcio nel quale non mi ritrovavo più. Ho lasciato il San Lorenzo (la squadra del mio paese) perché da almeno due anni non mi sentivo più parte di un gruppo. Pur notando certi atteggiamenti, nessuno si è mai preoccupato di sincerarsi se c'era qualcosa che non andava, nessuno si è mai chiesto perché me ne stavo sempre di più sulle mie, quello che interessava era che giocassi bene poi, fuori dal campo, non contavo. Non sono un casinista di natura, per cui il fatto di non ritrovarmi più in questo ambiente non faceva che accentuare questa condizione. Ho giocato a San Lorenzo per 8 anni. Dopo le difficoltà dei primi due, all'epoca giocavo a Capriva in una categoria superiore, e venni convinto a tornare a San Lorenzo nonostante non rientrasse nei suoi piani farmi giocare (ma questo non lo sapevo... ndr), riuscii a ritagliarmi un posto reinventandomi difensore quand'ero ad un passo dal mollare tutto. In questo periodo non ho mai preso soldi (perché essendo del paese non dovevo prenderli, grosso errore scoperto solo da poco) a parte un premio collettivo quattro anni fa. Ho tirato la carretta insieme a pochi altri quando i "big" non si allenavano o non si impegnavano, ma se lo sono dimenticato tutti, in compenso, non perdono occasione di guardarmi storto, o di rinfacciarmi il fatto di essermene andato. Finché stavo zitto e giocavo andava bene. Qualcuno mi chiede di ritornare per proprio bisogno non mi chiede come sto, non interessa. Cosa comporta tutto ciò? Bene ieri ero a vedere la partita contro il Sistiana, per scrivere la cronaca sul Piccolo (naturalmente ci si lamenta che non scrivo a favore del San Lorenzo....); al termine mi sono fermato al chiosco per bere qualcosa trovandomi difronte ad un muro di indifferenza e facce torve verso il sottoscritto. Da sottolineare che tale trattamento non viene riservato per coloro che si fanno vivi una volta ogni tanto dopo aver ricevuto i loro compensi con il minimo impegno possibile. Comunque da novembre dell'anno scorso gioco a calcetto dove ho trovato un ambiente ben più sano e amichevole, dove non serve mettere a regolamento il terzo tempo per salutarsi amichevolmente perché viene spontaneo, perché un minimo di sportività reale esiste ancora. Qui ho trovato un bel gruppo fatto di gente semplice dove posso essere considerato uno della compagnia dentro e fuori del campo, che si giochi bene o male l'importante è il rispetto verso il compagno cosa che nel calcio manca totalmente. Di una cosa mi sono convinto, che la frustrazione provata dal comportamento paesano nell'essere considerato un traditore, uno che ha abbandonato la barca mentre affondava, viene spazzata via dalla consapevolezza di avere la coscienza a posto. Riguardo tutto ciò ricordo quando un giocatore di Villesse mi disse che giocare lontano dalle proprie mura è più stimolante in quanto sei più considerato. Giocare per il proprio paese passa inosservato perché considerato la normalità e quindi di poca importanza. A conti fatti posso dire "niente di più vero".

lunedì 22 settembre 2008

Ammazzatecitutti rischia di chiudere entro un mese


Cari italiani, care italiane,
quando abbiamo deciso di fondare Ammazzateci Tutti, in quel lembo di terra meravigliosa e disgraziata che si chiama Calabria, abbiamo cercato di concentrare le poche, pochissime risorse disponibili e le tante, tantissime speranze, di tutta quella gente che non ce la faceva più a vivere “incellophanata” dall'omertà e, soprattutto, dalla paura.
Per essere davvero liberi non ci siamo mai voluti legare a nessun carrozzone, né politico né imprenditoriale. Solo con il tempo abbiamo capito che è stata una scelta coraggiosa, una sfida più grande di noi, che ha certamente appesantito - non di poco - le già tante preoccupazioni che avevamo comunque messo in conto.
Pensate, invece, come sarebbe stato fin troppo conveniente e facile per noi sceglierci uno o più “Mecenate”, anche i meno peggiori e, nel portare silenziosamente acqua al loro mulino, ottenerne laute ricompense in termini economico-logistici (apertura sedi, pubbliche relazioni con gente che conta, produzione di gadget, pianificazione di campagne pubblicitarie, ecc..).
Ma abbiamo fatto la scelta di essere come gli straccioni di Valmy, abbiamo scelto di combattere contro mostri pieni di soldi e di potere, anche indicandoli con nome e cognome, a nostro rischio e pericolo, facendo ogni giorno la nostra parte anche se rimanevamo e rimaniamo sempre più ai margini dello studio, delle professioni, delle assunzioni, dei diritti di cittadini, mentre chi ha certamente meno titoli ma più amici nelle stanze del potere riesce a laurearsi, ottiene consulenze, incarichi, sponsorizzazioni. E il loro “esercito” diventa ogni giorno più potente ed incontrastabile, mentre il nostro fa i salti mortali per riuscire a sopravvivere e sostenere anche l'azione di magistrati ed uomini delle forze dell'ordine coraggiosi che si trovano finanche nella situazione di dover pagare loro la benzina delle auto di servizio o i toner nelle fotocopiatrici di caserme, commissariati e Procure.
Adesso bisogna ragionare seriamente sul ruolo e l'incisività che Ammazzateci Tutti può rappresentare in Italia oggi e domani, se e quanto valga la pena continuare.
E lo facciamo iniziando a fare i cosiddetti “conti”: se in termini di consenso e sensibilizzazione il bilancio è in segno positivo ed in netta ascesa costante (partendo dalla Calabria oggi siamo in più di 8.000 ragazzi e ragazze in tutta Italia, dalla Lombardia, alla Sicilia, al Lazio, al Veneto, alla Puglia, al Piemonte, alla Campania), non possiamo dire altrettanto in termini di spese vive sostenute per mantenere aperta la baracca.
L'idea di portare sul web e nei territori le nostre rivendicazioni, la nostra voglia di gridare al mondo intero che l'Italia non è solo mafia, che non è colpa nostra se emergono sempre e solo i nostri peggiori concittadini, ci hanno portato a scommettere (e rischiare) sulla nostra stessa pelle il prezzo dell'impegno che ci siamo assunti tre anni fa di fronte a tutti gli italiani onesti.
E come se non bastassero le querele, le preoccupazioni, le intimidazioni implicite ed esplicite alle quali siamo ormai abituati, adesso ci troviamo nella situazione in cui - lo diciamo chiaramente - non possiamo più permetterci il “lusso” di continuare con le nostre attività sui territori e quelle telematiche.
Partiamo dal nostro sito internet, generosamente ospitato gratuitamente sin dalla nascita su un piccolo server di una azienda calabrese alla quale abbiamo procurato, con la nostra presenza, solo e soltanto danni e preoccupazioni.
Ci hanno defacciato il sito per decine di volte, siamo stati vittime di ben 5 attacchi informatici, dei quali due violentissimi (che hanno costretto l'azienda a buttare il server ed acquistarne uno nuovo) ed ora, proprio ieri, veniamo a sapere che, sempre a causa nostra, alcuni pirati informatici sono riusciti a violare nuovamente il server trasformandolo questa volta in uno “zombie” (così si definisce in gergo tecnico) atto a frodare migliaia di persone in tutto il mondo mediante phishing su conti bancari esteri. Per capire meglio la gravità della situazione basti pensare che siamo stati contattati direttamente dai responsabili della sicurezza informatica di due importanti istituti bancari in Australia ed il Belgio, i quali hanno anche tenuto ad informarci delle responsabilità penali di fronte alla legge nostre e dell'azienda che ci ospita.
Quantificare ora il danno economico e quello eventualmente penale, ci porta inevitabilmente a stabilire che la nostra esistenza dovrà essere indipendente da ogni preoccupazione futura e, quindi, essere disposti anche a trarne le estreme conseguenze: partendo dalla chiusura di Ammazzatecitutti.org e degli spazi di comunicazione ad esso collegati (forum, ecc..).
A questi conti che non tornano dobbiamo aggiungere diverse migliaia di euro di debiti contratti (anche personalmente) nell'organizzazione delle nostre iniziative (sostenute solo parzialmente dalle poche Istituzioni alle quali ci siamo rivolti).
Senza contare il fatto che ormai i nostri ragazzi stanno devolvendo interamente alla causa le loro paghette settimanali in ricariche telefoniche e fotocopie.
Per questo ci appelliamo a tutti voi, chiedendovi un piccolo grande gesto di solidarietà; diventate nostri "azionisti", almeno noi cercheremo di non fare la fine di Parmalat e Alitalia.
Non parliamo di milioni, a conti fatti basterebbero 30 mila euro per farci riprendere fiato e metterci in condizione di fissare obiettivi di medio-lungo termine.
Lo facciamo stabilendo una data simbolica: il 16 ottobre prossimo, terzo anniversario dell'omicidio Fortugno e quindi della nostra “nascita”. Se entro questa data non dovessimo riuscire a sanare ogni passivo saremo costretti a staccarci la spina da soli, archiviando prematuramente questa bellissima esperienza. Con la morte nel cuore.
Dobbiamo dimostrarci persone serie, soprattutto con chi ci guarda da sempre con ammirazione, stima ed aspettative che non meritiamo, perché, come dice spesso Monsignor Giancarlo Bregantini, <> ed evidentemente noi abbiamo fallito, non riuscendo ad organizzare degnamente le speranze di tutti noi, di tutti voi.

Aldo Pecora
Rosanna Scopelliti
Coordinamento nazionale "Ammazzateci Tutti"

Per chi vuole sostenere l'iniziativa basta collegarsi al sito: http://www.ammazzatecitutti.org/

venerdì 15 agosto 2008

2° Giorno - 8 Agosto

Ho messo la sveglia alle 8 ma avrò aperto gli occhi chissà quante volte in un continuo dormiveglia mattutino. Fatico ad alzarmi, la sveglia suona e tutto tace nella stanza. Amanda, la ragazza neo zelandese che dorme nel letto sotto al mio, si alza mentre le altre due ragazze nell'altro letto a castello sembrano in coma, chissà a che ora sono rientrate. Alle 8:30 decido che è il caso di levarsi dal letto e darsi una slavazzata. La ragazza bionda concede un attimo di vitalità per un saluto ed un sorso d'acqua rigenerante e poi è di nuovo coma. Scendo per ritirare il biglietto per la colazione. C'è l'imbarazzo della scelta tè, "caffè", succo di frutta, marmellata ecc. Faccio razzia e mi preparo un panino da portare via. Do un occhiata alle immagini delle olimpiadi che scorrono sullo schermo appeso al muro. Dove andiamo oggi? La decisione cade sullo Schonbrunn. Raggiungo di buona lena la metro, scendo a Stephansplatz e ricarico le bottigliette d'acqua. Comincia a cadere qualche goccia, il cielo è nuvoloso ma non penso che pioverà, infatti neanche il tempo di tirare fuori la giacchetta ed ha già smesso. Ritiro il depliant per scorrere i vari tipi di biglietto previsti. Opto per il Classic Pass che permette di visitare più tutto il palazzo e gran parte del giardino imperiale. Prima sorpresa non è permesso l'ingresso con zainetti che devono essere depositati nel guardaroba. Anche per quanto riguarda la macchina fotografica non è concesso fare foto e i controlli lungo le stanze, sono abbastanza severi. A questo punto urge un paragone con la Reggia di Caserta. Se l'avete visitata sappiate che a Schonbrunn l'organizzazione e la cura con cui è tenuto il palazzo e, soprattutto, il giardino, sono altamente superiori. Un esempio su tutti il fatto che se è vietato calpestare l'erba NON la si calpesta o, come era successo a Caserta, NON si fanno pic-nic o si gioca a calcio. Un'altra cosa assurda che ricordo del giardino della Reggia, era quello che non vedevi. In parole povere bastava girare un angolo un pò nascosto e trovavi l'erba modello Amazzonia. Un peccato perché reputo il giardino reale italiano più bello se solo fosse tenuto decentemente. A parte il fatto poi che con il biglietto è inclusa l'audio-guida che ti accompagna nelle 40 stanze reali, che NESSUNO cerca di fare foto, neanche di nascosto. Comunque devo dire che il palazzo è veramente meraviglioso e penso che tanta bellezza vada visitata e non descritta cosa, in cui non sono molto bravo. Nel giardino le carrozze portano i turisti in giro ma la maggior parte sembra preferire il trenino che, probabilmente, costerà pure di meno. A visitare tutto il parco a piedi ci si mette giorni per cui mi limito a raggiungere la fontana del Nettuno, salire la collinetta fino alla Gloriette con la sua terrazza panoramica, ed a prendermi un pò di riposo prima dei labirinti. Sono quasi le 16 quando mi immolo nei tre piccoli labirinti. C'è ancora il tempo di seguire lo strudel show. A parte il caldo che faceva la sotto, è come vedere la propria mamma in cucina che prepara un dolce solo in tedesco ed inglese....comunque fa la sua scena. Si sono fatte quasi le sei quando mi avvio verso l'uscita per riprendere la metro che mi porta fino a Karlsplatz, una vasta piazza ricavata tra la seconda metà dell'800 e i primi del '900. La chiesa dedicata a Carlo Borromeo è imponente e qui imparo una cosa, ogni tanto una buona azione paga. Trovo un signore in carrozzella con la moglie e devono salire la rapida scalinata. Un ragazzo prova a dargli una mano ma non basta così mi offro di dargli una mano visto che devo salire. Alla fine scopro che lavora nella chiesa e mi lascia entrare gratis, anche se a dir la verità mi chiedo perché in questa chiesa si debba pagare... L'interno è veramente maestoso tutto in stile barocco viennese e con degli affreschi stupendi. La cupola è sicuramente ciò che impressiona di più il che mi porta a prendere l'ascensore per osservarla più da vicino (e fare foto naturalmente). Tralasciando l'inutile museo, esco e... sorpresa nuvoloni vogliosi di riversare acqua sulle teste di qualche malcapitato turista. Mi accascio su una delle panchine del prato mentre qualche goccia mantiene stabile il mio dormiveglia. Ormai sono quasi le 19 e alle 21 inizia il concerto al Palais Palffy. Facendo un rapido calcolo ho giusto il tempo di trovare un posto dove cenare. Arrivo al Figlmuller locale tipico viennese dove si può gustare (così dicono) la migliore Wienerschnitzel di Vienna, ma è strapieno e c'è la fila. Trovo un ristorante italiano (si lo so è abbastanza triste ma avevo poco tempo per cercare altro) giusto in tempo per evitare il primo scroscio di pioggia. Per fortuna non ho molta strada da fare così mi avvio nel buio bagnato della notte. i vicoli di Augustinerstrasse non sono molto ben illuminati. Raggiungo Josephsplatz dove si erge il Palais Palffy e assisto al concerto imbastito in stile '800. In parole povere una stanza di dimensioni medie con un piccolo palchetto dove si sono esibiti 3 violinisti, un violoncello, un pianoforte, due ballerini (non chiedetemi come vissto l'esiguo spazio a disposizione) e due tenori per le arie tratte da "Le nozze di Figaro". Naturalmente come finale non poteva mancare il classico da concerto di Capodanno: la Radetzky march. Tra un'aria mozartiana e Strauss le due ore volano e così mentre ritorno verso Stephansplatz le note mi rimbalzano nel cervello come poesia in una serata fresca e bagnata. C'è ancora il tempo di scattare qualche foto in notturna (anche se sprovvisto di cavalletto) prima di concedersi un meritato riposo.

martedì 12 agosto 2008

Viaggio a Vienna

6 - 7 agosto Partenza
Pronti via. Sono quasi le 22 e fra un quarto d'ora parte il treno da Gorizia. Faccio un ultimo giro in sagra a San Lorenzo per salutare coloro che sono rimasti a lavorare sodo nell'ultima sera di festa (anche se rovinata dalla rapina di domenica...). Mio fratello mi accompagna alla stazione e tanto per cambiare, e se non mi ricordo male anche l'anno scorso quando sono andato a Praga, il tabellone elettronico delle partenze segna già un ritardo di un quarto d'ora (oltre che l'ora sbagliata le 22:18 invece delle 22:16...). Cavolo potevo starmene ancora un pò in sagra e seguire almeno una parte del concerto degli "Allarme Rossi", insomma trenitalia lavoriamo per farvi arrivare in ritardo... e non sgarriamo quasi mai. Prendo posto nella cuccetta, letto in basso così non rompo le scatole a chi dorme già. La ragazza mi chiede cosa voglio per colazione, scelgo il tè visto che il caffè agli austriaci non riesce così bene. Per la cronaca è un vagone austriaco quindi pulito, ben tenuto e sicuro, nessuno che apre e chiude ogni 5 minuti il portellone per vedere se c'è posto, nessun controllore che ti viene a rompere le balle alle 2 di notte per controllarti il biglietto visto che lo consegni appena sali e te lo riconsegnano quando ti portano la colazione al mattino.
E' giorno, apro gli occhi e un bel visetto, due occhi azzurri e capelli biondi fanno capolino dal letto al 2° piano. Due ragazze austriache che ritornano a casa dopo una vacanza a Venezia. Arriva la colazione, la giornata è iniziata bene, speriamo che continui. Arrivo a Vienna in perfetto orario, come l'anno scorso, una volta superato il confine, i macchinisti hanno recuperato il tempo perduto in Italia. Scendo dal vagone e mentre mi appresto a raggiungere l'uscita, provo ad inviare un messaggio a casa per far sapere che sono arrivato ma non riesco a spedirlo c'è qualche problema sulla linea. Raggiungo di buona lena il Wombast Hostel che si trova a neanche 500 metri dalla stazione Westbahnhof, mi registro e gentilmente la ragazza dell'entrata mi dice che posso appoggiare lo zaino nel magazzino bagagli in attesa della registrazione che sarebbe avvenuta dopo le 14. La prima valutazione dell'ostello è ottima da subito hai la sensazione di stare in un posto confortevole, ben attrezzato e organizzato, sulla sinistra tre divani circondano un tavolino mentre sul muro capeggia un televisore che trasmette i programmi olimpici di Eurosport. Più avanti, dopo il tavolo da biliardo ed accanto al magazzino bagagli, ci sono due tavolini con 10 stazioni internet. Ne approfitto per scrivere a Domenico del mio arrivo visto che del cellulare non sene parla. Visto che ci vorranno almeno 5 ore prima di poter accedere alla camera, inizio il mio ruolo da turista; discendo la Mariahilfer Strasse costellato di negozi, supero il quartiere dei musei, l'Hofburg con il suo parco e mi dirigo verso Kartnerstrasse alla ricerca del punto informativo per ritirare la Vienna card. In Albertina Platz un ragazzo in costume mi avvicina proponendomi la possibilità di assistere ad un concerto di musica classica che prevede brani di Mozart e Strauss. Gli chiedo informazioni per il giorno dopo e mi "supplica" di poter parlare all'ombra visto che sotto il sole l'indumento che indossava non era proprio il massimo. Lo spettacolo sembra interessante così accetto di spendere 36 € (invece di 46 €). Mi ringrazia (e vorrei vedere...) e mi indirizza verso il punto informativo per turisti. Riprendo il mio cammino e dopo aver recuperato la Carta continuo passeggiando per Annagasse, Johannegasse e Himmelpforgasse. Visito un paio di chiese (Kapuzinerchirche, Annachirche) e intanto si fa mezzogiorno. Cerco refrigerio all'ombra per poter pranzare, panini portati da casa, da domani si va a caccia di ristoranti. Dopo la sosta, atto necessario per tappare il buco allo stomaco, riparto per Stephansplatz dove si erge nella sua imponenza il maestoso duomo. E' uno dei più splendidi esempi di arte gotica, diciamo che fa molto Tim Burton. Se lo andrete a visitare sappiate che c'è la possibilità di utilizzare l'audio guida. Continuando il mio girovagare giungo in Michaelerplatz, qualche foto di rito e poi un salto al parco per una pennichella ristoratrice, una rinfresca ai piedi in una fontana e via verso Stephansplatz dove, prima di prendere la metro, assisto ad un tristissimo spettacolo di 7 o 8 nativi indiani che si misurano in balli tribali secondo le loro usanze raccontando (almeno così penso di aver intuito) la loro storia. Supero agevolmente il Graben e prendo la metro fino a Westbahnhof per il rientro alla base. Ritiro la chiave elettronica e mi avvio verso la stanza 211, faccio una buona doccia, preparo il letto, mi cambio per un breve giro serale. Rientro all'ostello dirigendomi nel bar dove mi bevo una birra (la prima è offerta) e un cocktail. L'atmosfera è di quelle da festa, basta guardarsi in giro per capire fin da subito che ogni sera qua c'è di che spassarsela senza dover andare troppo in giro per la città, ma stasera sono troppo stanco per provare inebrianti sedute alcoliche e festose per cui me ne vado a dormire.

giovedì 31 luglio 2008

Quel bel Paese chiamato Italia?

Ripubblico l’articolo di Luca Trinchieri, già apparso qui, su Liberazione e rilanciato anche sul blog come campa mattia e soglia di attenzione.

C'è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana si diverte a Trastevere il venerdì sera. L'ora dell'aperitivo. Le vie attorno a piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle di venditori ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini alla sua fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti di sorpresa. Non è un semplice controllo: tre macchine e una camionetta vuota che ha tutta l´impressione di dover essere riempita. È la prima operazione contro i venditori ambulanti dopo l'entrata in vigore del decreto sicurezza, che amplia i poteri per i sindaci in materia di ordine pubblico.

Mi fermo ad osservare, come molti altri. Non è curiosità, la mia. È un istinto di controllo. I poliziotti iniziano a sbaraccare i banchetti. Via la merce, raccolta sommariamente nei lenzuoli su cui era disposta. Un agente tiene un indiano stretto per il braccio, mentre dal suo viso trapela tutto, la paura, la rassegnazione, fuorché l'istinto di scappare. È ammutolito. Un donnone africano, del Togo, è invece molto più loquace. Se la prende quando l'agente raccoglie violentemente i lembi del telo a cui erano appoggiati gli orecchini e le collane che vendeva. «Fammi mettere nella borsa, almeno!» dice all'agente. «Non scappo, non ti preoccupare, ecco il mio permesso di soggiorno». «Ma perché tutto questo? - dice – non stavo facendo nulla di male». All'agente scappa un sorriso, forse un po´ amaro: «è il mio lavoro». Poi la donna incalza: «conosco la nuova legge. Ora mi fate 5.000 euro di multa. Ma perché non ci date un modo di fare questo lavoro regolarmente?» Nessuna risposta dall'agente, che se ne va e lascia il posto ad un collega, molto meno accomodante. «E muoviti, su!», dice senza accennare ad aiutarla a trasportare le sue cose. Lei, con lo stesso sorriso sul volto, chiude la valigia arancione e con le mani occupate dice «dove andiamo, di qua?», mascherando con l'orgoglio la paura che in fondo in fondo le sta crescendo. Mantiene l'ironia però quando mi avvicino e le chiedo da dove viene. «Da Napoli, bella Napoli, vero?», e intanto, mentre mi svela le sue vere origini africane, si toglie gli orecchini: «questa bigiotteria non mi serve più, stasera».

Due metri più distante due ragazzini italiani, con il loro banchetto in tutto e per tutto uguale agli altri. Devono sbaraccare anche loro, ma gli agenti usano maniere molto più educate. Non li tengono per le braccia, non gli ammassano la merce. La ragazza raduna le poche cose che avevano in vendita. Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a parlare nervosamente: «ve lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi andare». «Se prendiamo loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un agente. Ma alla fine non sarà così. Il ragazzo si dispera, «sono di Roma, non posso credere che mi trattiate allo stesso modo che a quelli lì». Evidentemente è un discorso convincente. Si avvicina un signore in borghese che è lì a dirigere l´intera operazione. «Dottò, Capitano, Maresciallo, giuro che non lo farò mai più…». Si sbraccia, sembra un bambino appena messo in punizione dalla mamma. L'uomo in borghese si mostra irremovibile, ma si capisce subito che vuole solo dargli una lezione, e appena gli altri fermati – 7 persone, tutte straniere - non sono più a vista, lo lascia andare.

A operazione conclusa vado dal signore in borghese, mi presento, «sono un giornalista e ho assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli stranieri?», chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via, identificatelo, e controllate - aggiunge guardandomi negli occhi - perché ha l´alito che puzza di birra». Già, la birra che stavo bevendo prima, e che mi è andata di traverso con tutto quello che succedeva. Per fortuna non è ancora reato, comunque. Mi portano in due verso il ducato dove sono radunati gli stranieri, tenendomi strette le mani sulle braccia. Non mi era mai successo, prima, ed è una sensazione davvero sgradevole. «Questo per adesso è nell'elenco dei fermati» dice l'uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un collega. Spalle alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare sequestrato. «Perché avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la polo rosa, quello che mi stringeva da destra, mi risponde, anche se - dice - non sarebbe tenuto: «perché questi sono tutti irregolari». Balle, ho visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta veritiera. «Certo che non avevi proprio nient'altro di meglio da fare», dice con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda, voglio una risposta». L'uomo in rosa, che ha la mia carta d'identità e sta scandendo il mio nome per radio si gira verso di me, «hai finito di parlare?» grida. A quanto pare anche rispondere alle domande costituisce un grave errore, e infatti un terzo poliziotto, defilato fino a poco prima si indirizza a me dicendo «guarda che a fare così peggiori solo la tua situazione». Chiedo di sapere i loro nomi e gradi, come avevo fatto già con l'uomo in borghese al principio, convinto che per legge sia un loro dovere identificarsi. Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro, cinque? - mi da la sua versione della legge. «Vedi qual è la differenza, è che io posso chiederti come ti chiami e tu non puoi chiedermi niente, chi comanda sono io». Un suo collega aggiunge: «certo, se lo vuoi mettere per iscritto è diverso, ma non te lo consiglio, la cosa si farebbe piuttosto scomoda». La minaccia mancava, in effetti. Interrompe la discussione l´uomo in rosa. «Luca!», e con la mano mi fa cenno di andare da lui. «Vuoi andare?» «Voglio una risposta alla mia domanda», insisto. «Non hai capito – si spiega - hai voglia di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono stupido, so quello che mi sta dicendo, ma io voglio la mia risposta».

Mi accompagna lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me l'uomo che comanda l'operazione, quello dell'alito puzzolente. Mi chiedo se tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro il suo è molto più duro. Aspetto ancora in piazza, osservo l'operazione concludersi, fino all´istante i cui gli immigrati vengono caricati sul furgone che si mischia al traffico del lungotevere. Non c'è altro da fare, questa sera, se non raccontare in giro quello che ho visto. Questa triste deriva, quest'inverno italiano che avanza. Oggi inizia l´estate. Evviva.

mercoledì 18 giugno 2008

Un silenzio tutto italiano (2)

Dal Corriere della Sera

ORRORE A VERONA

Danno fuoco a dipendente rumeno
Volevano intascare la sua assicurazione

In manette è finita una coppia di fidanzati italiani, datori di lavoro della vittima il cui corpo carbonizzato è stato trovato nella sua auto. La donna sarebbe stata la beneficiaria dell'assicurazione del romeno

Verona, 10 giugno 2008 - I carabinieri di Caprino Veronese hanno arrestato nella notte due italiani, un 35enne ed una 31enne, per l'omicidio di Adam Ioan, il rumeno trovato carbonizzato nella sua auto sabato scorso nei pressi di Cavaion (Verona).

Sono accusati di omicidio volontario premeditato e occultamento di cadavere. I due, secondo quanto si e' appreso, sono titolari di una ditta di autotrasporto presso la quale lavorava il romeno. Quest'ultimo, sempre secondo quanto si e' appreso, avrebbe stipulato un'assicurazione da circa 1 milione di euro il cui beneficiario sarebbe stata l'indagata.

Domanda come mai nessuno ne ha parlato?? Ah già è vero gli immigrati sono tutti dei delinquenti mentre noi.....

martedì 27 maggio 2008

Il Mattino Dopo 2

Primo giorno

Il mattino dopo? Pioveva. Che schifo, è sempre stato così, dovevo immaginarmelo. Ogni primo giorno della mia vita è stato costellato da gocce di pioggia. Quando sono nato, il primo giorno di scuola, quello di leva? Pioveva sempre. E poteva esimersi da questa consuetudine il mio primo giorno di lavoro? Certo che no vogliamo scherzare?

Mi alzai pieno di buoni propositi e tutto arzillo arrivai bello pimpante al cancello d’entrata della Darielli per il più classico dei periodi di prova. L’addetto alla sbarra si avvicinò, Buongiorno, Mi dica, Beh dovrei entrare per lavorare. L’addetto mi guarda sogghignando e con faccia da chi pensa di essere spiritoso, Perché lavori qui forse? Ce l’ha il cartellino? No, ma immagino che sia lei a dovermelo dare visto che è il mio primo giorno, che dice? La mia vena ironica non sembrò piacergli, Mi dica il suo nome, Alvise, Michele Alvise, E magari c’hai pure la licenza per l’ironia tendenzialmente simpatica, aspetti qua.

In un primo momento pensavo di sparargli un’altra battuta ironica, ma non mi sembrò il caso, comunque, mentre lo guardavo ritornare dalla cabina, un piccolo pentimento trafisse il mio cuore. Va bene simpatia per oggi puoi passare, ma da domani dovrai parcheggiare laggiù. E mi indicò un parcheggio gigantesco lontano almeno un chilometro, Intanto segui le frecce blu, ti condurranno agli uffici, E se fossi daltonico? Sarebbero cazzi tuoi. Me l’ero cercata.

Così arrivai agli uffici. L’ambientino non era dei più esaltanti, muri spogli e di un bianco acceso, illuminazione modello sala d’aspetto d’ospedale, uno scaffale per catalogare i falconi e scrivanie scarne su cui capeggiava un computer ed una pila di carte. Le stampanti lavoravano di continuo facendo a gara con i miei futuri colleghi chini sul loro giornaliero rettangolo solido, non si erano nemmeno accorti del mio arrivo.

Provai l’arma della cortesia salutandoli, niente, la sensazione era che neanche un terremoto li avrebbe smossi. Sulla porta d’ingresso si trovava una scritta, “Ricorda tutto nella vita ha un prezzo”, sul momento non vi feci caso. Finalmente qualcuno fuoriuscì dalla densa nebbia neuronale e mi accolse, Buongiorno, mi chiamo Francesco, devi essere quello nuovo seguimi. Faccia stravolta, sguardo perso, non mi aveva dato nemmeno la mano, insomma, le premesse non erano un granché. Quanto dura il tuo mese di apprendimento? E secondo te?…, Mah un mese? Si fermò guardandomi infastidito, Lo so ma quanti giorni, 30, 31? Oh madonna, Mi pare 30, Beh ringrazia che non siamo in febbraio. Ancora oggi non so se era una battuta. Questo sarà il tuo banco di prova, lì c’è il manuale con tutte le direttive aziendali, le norme e i moduli da compilare per le richieste. Se c’è qualche problema mi chiami ok? Se ne andò lasciandomi contro un manuale di 100 pagine, un altro di 50, e vari moduli astrusi, Perfetto e ora? Decisi di prendere carta e penna per assimilare meglio i punti cardine del malloppo rifilatomi ma con mia sorpresa i cassetti erano vuoti. Chiamai Francesco, Sai dove posso trovare una penna? Da nessuna parte, Come? Te la devi portare da casa, che sia una penna, una matita o qualsiasi cosa riguardi il reparto cancelleria te la dovrai comprare, Stai scherzando? No e ho già perso troppo tempo. Ricorda, prima regola, non chiedere niente di cui non sai il costo esatto. Mi lasciò in mezzo alla stanza come un ebete, cominciavo a capire il senso del motto.

Passai tutta la mattina a leggere quell’assurdo blocco di pagine, in special modo le norme aziendali che erano le STESSE previste per legge. Sui moduli andava comunque inserito la dicitura aziendale altrimenti la richiesta non aveva validità, dovevi inserire il loro codice punto e basta. Così cercai di destreggiarmi tra le pagine fino alla pausa pranzo. Arrivo in mensa a mezzogiorno, scelgo il menù, mi siedo tranquillamente in mezzo ai colleghi, tempo quindici minuti e spazzolarono tutto pronti per continuare a lavorare. Li guardo stupito mentre comincio a degustare, per modo di dire, la bistecca rinsecchita, Dove andate? La pausa non dura un’ora? Si, E allora perché vi siete già alzati? Perché abbiamo finito. Lapidario, secco, conciso, mi lasciarono nuovamente in mezzo ad una stanza con la faccia da ebete.

Ritornai all’una al mio posto, gli impiegati erano ancora più pallidi, quasi non li distinguevo dal colore del muro. Francesco, Dimmi, che diavolo nemmeno mi guarda, Mi chiedevo se potevo portarmi il manuale a casa per leggerlo con più calma, Compila il modulo, Quale? C’è scritto nel manuale, E poi, a chi devo consegnarlo?, C’è scritto nel formulario, ma ti conviene fare alla svelta visto che dovrà passare almeno quattro controlli prima dell’accettazione, Posso stamparlo? Certo, regola numero due, puoi fare tutte le stampe che vuoi, non abbiamo interessi verso la foresta Amazzonica. Allucinato cercai il modulo adatto, lo compilai e lo consegnai alla segretaria. Alle cinque la mia richiesta non aveva ancora superato i controlli, decisi di rinunciare e avviarmi verso l’uscita senza il malloppo, timbrare e tornare a casa. Dove vai? A casa, sono le cinque, Non puoi devi prima risolvermi un problema in officina, Non posso farlo domani? No, Ah bene, al primo giorno già straordinari, vuol dire che c’è lavoro. Straordinari? Regola numero tre, non si timbra all’uscita si lavora finché si può e basta, il tuo orario fisso sul cartellino sarà 8 – 12, 13 – 17 ma i tuoi orari varieranno a seconda delle esigenze.

Andai in bagno mi guardai allo specchio, avevo la sensazione che la mia pelle stesse cominciando a sbiancarsi. Preso dal panico andai in officina. Parlai con il responsabile il quale mi sottopose la questione su una parte meccanica da completare. Analizzando i cartigli imputai il problema al tipo di viti utilizzate. Dovete usare queste, Non ne abbiamo, Compratele, Quanto ci costeranno?, Non lo so, Sei sicuro che siano giuste, che servano? Vieni con me. Lo seguii al computer, lo vidi fare dei calcoli in base al tipo di soluzione che gli avevo proposto. Ne risultò lo stesso tipo di vite solo con l’aggiunta di un coprivate che reputavo scontato. Ecco vedi? Bisogna sempre e comunque controllare, ti erano sfuggiti i coprivate. Ora compila il modulo di richiesta per l’ufficio conteggi che provvederà ad approvare la tua domanda, dopodichè lo passerà all’ufficio contabile fino all’ufficio acquisti, sempre che tutto sia a posto, e sfoggiò un sorrisetto abbastanza eloquente, Ora vado che ho già perso troppo tempo.

Ore 18: ricerco le direttive, compilo il modulo, inserisco i codici. Ore 18.15: passo il tutto all’ufficio conteggi. Ore 18.30: la mia richiesta per i manuali è stata scartata, manca la data. Ore 18.45: ripenso alla mia giornata e non ci credo. Ore 19: sghignazzo sadicamente. Ore 20: finisco di sghignazzare l’ufficio contabile ha respinto la domanda causa 1 €uro di troppo. Buio.

venerdì 16 maggio 2008

Il Mattino Dopo

Ariano uscì dal proprio ufficio e cominciò a percorrere il corridoio i cui muri, bianchi come il latte, erano illuminati a giorno come se chi ci abitasse, avesse paura che qualsiasi ombra potesse sfuggire minacciosa agli occhi vigili di qualcuno. Era mattina presto probabilmente le 7, ormai non faceva più caso alle ore che passavano il suo corpo reagiva autonomamente senza bisogno di impulsi esterni come poteva essere una sveglia. Ogni angolo era sorvegliato da uomini in nero con gli occhi oscurati a specchio da lenti indagatrici che non lasciavano trasparire alcuna emozione ma solo brividi per chi cercava di incrociare il loro sguardo, li chiamavano “gli osservatori”. La loro presenza non faceva che aumentare il senso di disagio che provava nel percorrere quei cunicoli pallidi e tutto nonostante fossero passati venti anni dalla prima volta. In lontananza un sottofondo musicale cominciò ad accompagnare i suoi passi, era una sensazione strana quella che lo pervase, non era abituato a sentire suoni, rumori o parole attraverso quelle mura, nemmeno sussurrate, era impossibile ascoltare qualsiasi cosa, tutto era segreto nel Tempio Bianco. Si fermò stranito quando capì che la musica proveniva da dietro la porta ovale che gli sbarrava il passo, decise di bussare.

“Signor Presidente” nessuna risposta, e mentre l’orchestra in sottofondo saliva di tono bussò ancora.

“Signor Presidente.” nessuna risposta.

Ariano decise di aprire contraddicendo le regole del Tempio venendo inondato dall’acuto finale del cantante lirico “VINCEEEROOO..”. Il Presidente era intento a giocare con un mappamondo come se fosse un novello Charlie Chaplin ne “Il dittatore”.

“Signor Presidente sono venuto ad informarla che l’arrivo di suo padre è previsto per domani mattina durante la sua visita al nuovo istituto di ricerca contro il terrorismo.”

L’annuncio non sembrò interessare minimamente il Presidente che continuò imperterrito a giocare felice come un bambino con la sua palla. Sconsolato Ariano chiuse la porta e si avvicinò alla scrivania intasata di bottiglie di whisky e bicchieri semivuoti, cercò di fare spazio in quel disordine e vi appoggiò un fascicolo sulla cui copertina capeggiava la scritta TOP SECRET e una data, 11 Primo Autunno. Sconsolato, osservò quel pargolo mai cresciuto roteare sul tappeto su cui era raffigurato lo stemma dell’Unione Americana con i due continenti a formare una grossa fauce pronta a divorare il resto del mondo.

“Le lascio il programma così potrà consultarlo con tranquillità”. Si avviò verso l’uscita quando, improvvisamente, il Presidente si fermò dimenticando il suo piccolo mondo e cominciò a fissarlo.

“Cos’è questa musica? Non l’avevo mai sentita prima d’ora.”

Ariano si accostò alla soglia dell’uscio semiaperto e si voltò, non capiva il senso di quella richiesta.

“Sai ho trovato questo dischetto in una di quelle case diroccate che abbiamo visitato ieri pomeriggio dopo l’uragano, pensavo di trovare solo musica jazz, gospel o blues in quel ghetto canterino.”

“E’ lirica signore, un’opera lirica e precisamente un’aria tratta dalla “Turandot” di Giacomo Puccini, si usava proporla nei teatri prima che venissero chiusi per mancanza di fondi e lasciar spazio ai parcheggi, alle nuove zone residenziali e commerciali, ai finanziamenti all’esercito dei “peacemaker” che lavora per l’integrità della nostra sicurezza.”

Il Presidente lo fissò perplesso e facendosi sfuggire un sogghigno ironico disse:

“Vedi alla fine avevo ragione. Questo prova che alla fin fine quelle costruzioni non servivano a nulla, erano uno spreco di spazio e denaro. Perché erigere edifici del genere per ascoltare della musica quando puoi godertela da casa?”

Ariano lo guardò perplesso per un istante e, non trovando una risposta adatta a quella domanda si lasciò alle spalle quel viso sogghignante per tornare al suo lavoro.

(Da un idea di SL)

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